Le nostre vite, intrinsecamente legate a quelle degli altri
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Scheda del Lettore
Alessandra D’Errico, classe ’92, vive nella provincia di Napoli fin dalla nascita, ma adora spostarsi ovunque. Da sempre innamorata delle parole, le piace ascoltarle accompagnate da musica, leggerele stampate su carta e perdersi nei racconti degli altri. Ama anche “usarle”, metterle in ordine a piacimento per creare storie, trasmettere emozioni e dar vita a mondi che le permettano di uscire da quello che mi circonda. Laureata in comunicazione, lavora come social media manager da quattro anni, ma non ha mai abbandonato la passione per la scrittura. Nel 2019 ha pubblicato il suo primo romanzo, “Kill”, grazie a una campagna di crowdfunding con la casa editrice Bookabook.
Oggi parliamo di:
Veronika decide di morire – Paulho Coelho
Photocredits: IBS
In quale momento della tua vita hai letto questo libro?
Non ricordo l’anno preciso, ma sarà stato tra il 2008 e il 2010. Quindi, avevo tra i 16 e i 18 anni, l’età in cui cominci a capire, forse com’è che funziona la vita.
Sono stati gli anni in cui si è formata la mia personalità, in cui ho capito chi sono e cosa voglio (o almeno quelli in cui ho cominciato a farmi le domande giuste). Era il periodo in cui avevo bisogno di qualche certezza e di ritrovarmi in qualcosa. La storia di Verinika mi ha fatto un po’ da guida.
Ti piace lo stile dell’autore? Cosa rende speciale il suo romanzo?
Di Coelho ho letto solo questa opera e una raccolta di racconti, Come il fiume che scorre. Lo trovo semplice, ma allo stesso tempo molto di impatto. È scorrevole, ti trasporta e ti coinvolge fino alla fine. Lo metterei nella categoria dei “Libri da sottolineare”, quelli di cui ti affascinano alcune frasi, alcune affermazioni. Ti porta a cercare le parole in cui desideri rispecchiarti, sei alla ricerca di quello che potrebbe essere l’aforisma che ti descrive più di tutti.
Pensi che la protagonista sia l’antesignana di quello che sarà poi la Hannah nel romanzo di Jay Asher, Thirteen Reasons Why?
No, non proprio. Veronika, proprio nelle prime pagine, ci dice che “era disposta a fare il possibile perché la propria morte non causasse molto scompiglio”, ed è un’intenzione del tutto opposta a quella di Hannah. La protagonista di Thirteen Reasons Why, con le audio cassette, non vuole evitare pettegolezzi, non vuole evitare di sconvolgere la vita di chi rimane, anzi. Il suo intento è proprio di colpire nel profondo le persone che l’hanno condotta alla sua scelta. Veronika, invece pensa a chi la ritroverà, pensa ai suoi genitori (decidendo di non lanciarsi da un grattacielo per non costringerli ad identificarla). Inoltre, Hannah a me è sembrata indecisa fino all’ultimo e ha cercato di chiedere aiuto, mentre Veronica organizza tutto nei minimi dettagli. Veronika è lucida, sembra quasi finalmente felice. Decide di morire per due ragioni: tutto nella sua vita le appare identico, monotono, sente di star invecchiando e, in secondo luogo, sente su di sé il peso dell’inutilità. Veronika si sente circondata da un mondo sbagliato, contro cui non può agire. Hannah vuole lasciare un segno, vuole agire, è come se, insieme alla voglia di mettere fine alle proprie sofferenze, volesse risparmiare il proprio destino anche ad altri; Veronika è arresa e senza altri stimoli.
Secondo te, come mai la giovane Veronika non regge la monotonia, al punto da compiere scelte drastiche?
A mio parere lei ha paura della monotonia. È spaventata dal dover vivere altri trenta, quarant’anni, facendo sempre le stesse cose, vedendo le stesse facce. È spaventata dai giorni tutti uguali, che si susseguono inesorabilmente e sceglie di scegliere come mettere fine a questa inerzia. Mette un freno, ecco.
Cosa rende davvero drammatico questo romanzo, nel finale?
In realtà, io non lo definirei drammatico. Forse, lo è per Veronica, per Eduard, ma non per il lettore che conosce la realtà dei fatti. La sensazione che pervade il lettore non è di dramma imminente, ma di una lunga e duratura speranza. C’è l’ignoto, un bel po’ di ansia, ma, così come Veronika, anche chi legge ha imparato, nel corso delle pagine, ad accettare di non poter sempre essere artefici del proprio destino. Si può scegliere, si può agire, ma le nostre vite sono spesso così intrinsecamente legate a quelle degli altri o, più semplicemente, legate a decisioni altrui di cui siamo all’oscuro, che non ci resta che vivere ogni giorno come fosse un miracolo.
Questo libro ha avuto anche un adattamento cinematografico. Secondo te, la narrazione era già adeguata per “funzionare” sul grande schermo?
Lo ritengo un libro e una storia per pochi, anche se mi piacerebbe che fosse apprezzata dai molti. La narrazione, anche se in terza persona, forse risulta troppo introspettiva per poter essere adattata al cinema senza qualche modifica. Ci sono molti dialoghi, ma allo stesso tempo lunghe scene in cui vengono descritti i pensieri dei personaggi, i loro viaggi mentali, che difficilmente possono essere riprodotti su pellicola.
Cosa pensi di Veronika? Avresti tratteggiato diversamente il personaggio?
La ritengo perfetta. A volte la capisci e altre no, arrivi anche a volerle sbattere la testa contro un muro, ma, alla fine, le vuoi bene. Forse anche più di quanto lei ne voglia a se stessa. Cominci a desiderare tu per lei, a sperare per lei e alla fine ti ritrovi a volerne sapere di più, a voler continuare a leggere i suoi pensieri, per capire cosa succederà, se ce la farà. Diventa un’amica che vuoi salvare dal baratro.
C’è qualcosa che non ti è piaciuto nelle scelte narrative dell’autore? Se sì, perché?
Credo di essere così sentimentalmente legata a questo libro che, pur rileggendolo a distanza di dieci anni e con una nuova consapevolezza di stili, di scelte narrative, non troverei comunque un difetto. Fin dalla prima lettura, è stato come leggermi dentro.
Alessandra D’Errico – Mi permetto di aggiungere solo una cosa, il brano a cui sono più legata:
— Fonte: Veronika decide di morire, Paulho Coelho
“Nella dissertazione che sto scrivendo, e che presenterò all’accademia delle scienze slovenie [il dottor Igor non voleva diffondersi in particolare sul Vetriolo], cerco di studiare il comportamento umano detto ‘normale’. Molti medici prima di me l’hanno studiato, giungendo alla conclusione che la normalità è solo una questione di consenso. Ossia, se molta gente pensa che una cosa sia giusta, quella cosa lo diventa. […]
“Beh adesso veniamo alla tua malattia. Ogni essere umano è unico, con le proprie qualità, i propri istinti, le proprie forme di piacere, il proprio spirito d’avventura. Ma la società finisce per imporre una maniera collettiva di agire: nessuno si ferma mai a domandarsi perché sia necessario comportarsi in quel modo. Ci si limita all’accettazione. Nel corso della tua esistenza hai mai conosciuto qualcuno che si sia domandato perché le lancette dell’orologio si muovono in una direzione, e non in quella opposta?”
“No”
“Se qualcuno lo domandasse, probabilmente si sentirebbe rispondere ‘ma tu sei matto!’ Se insistesse nella domanda, dapprima le persone tenterebbero di trovare una ragione, poi cambierebbero argomento, perché non può esistere alcun motivo oltre a quello che ti ho spiegato. Ora ripeti la tua domanda.”
“Sono guarita?”
“No. Tu sei una persona diversa, che vuole essere uguale. E questo, dal mio punto di vista, è considerato una malattia grave.”
“È grave essere diversi?”
“È grave sforzarsi di essere uguali: provoca nevrosi, psicosi, paranoie. È grave voler essere uguali, perché questo significa forzare la natura, significa andare contro le leggi di Dio che, in tutti i boschi e le foreste del mondo, non ha creato una sola foglia identica a un’altra. Ma tu ritieni che essere diverso sia una follia, e perciò hai scelto di vivere a Villette. Perché qui, visto che sono tutti diversi, diventi uguale agli altri. Capito?”
Mari fecce un cenno con la testa.
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